TRIBUNALE ORDINARIO DI CASSINO
Sezione lavoro
Il giudice designato, dr.ssa Annalisa Gualtieri
sul ricorso ex art. 28 Stat. Lav. nel procedimento n. 1725 del Ruolo affari contenziosi lavoro dell’anno 2020, vertente
TRA
CISAL Frosinone in persona del Segretario Provinciale, elettivamente domiciliata, ai fini del presente giudizio, presso lo studio dell’avv.to Maurizio Pantano, che la rappresenta e difende, come da procura in calce al ricorso introduttivo;
ricorrente
E
PAM Panorama S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata, ai fini del presente giudizio, presso lo studio dell’avv.to Cristina Vacca che la rappresenta e difende unitamente agli avv. ti Maurizio Olivetti, Mario Scopinich e Alberto Checchetto come da procura depositata in atti;
resistente
ha pronunciato il seguente
DECRETO
Con ricorso depositato presso l’intestato Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, la CISAL Frosinone, chiedeva, ai sensi dell’art. 28 della legge n. 300 del 1970 di accertare e dichiarare la condotta antisindacale del comportamento tenuto della società convenuta, con conseguente ordine di immediata cessazione e rimozione degli effetti, consistente nell’aver addebitato, a titolo di costi amministrativi, la somma pari ad euro 5,00 per ciascuno degli
iscritti al sindacato, per effettuare la parziale cessione del credito a titolo di quota associativa sindacale, in favore di esso creditorie cessionario.
Chiedeva pertanto che la società fosse condannata a “ad effettuare il versamento al sindacato ricorrente, quale creditore cessionario, delle quote di retribuzione oggetto di cessione da parte dei lavoratori iscritti alla medesima associazione sindacale, operando nelle buste paga dei lavoratori cedenti una trattenuta pari alla quota del credito ceduto senza addebitare la somma di €5,00 per ciascuno degli iscritti CISAL relativo alla quota mensile ceduta” e “a restituire le somme di €5,00 per ciascun lavoratore al quale è stato ad oggi effettuato l’addebito del detto importo, nella misura complessiva ad oggi di €50,00 (€5,00 X 10 lavoratori), oltre alle ulteriori somme che verranno indebitamente trattenute in futuro dal datore di lavoro fino alla sentenza”.
Si costituiva in la società PA.M. Panorama S.p.A. la quale rilevava che la procedura di cessione del credito derivante dalla retribuzione comportava una serie di attività amministrative e contabili su di essa gravanti, sia in fase iniziale e finale, sia mensilmente, tali da rendere la prestazione richiesta onerosa, in ragione della qualità di O.S. non firmataria del CCNL applicato all’unità produttiva; precisava inoltre che la società aveva da sempre operato un accollo delle spese di gestione dell’operazione di cessione dei crediti a carico del lavoratore creditore cedente, indipendentemente da chi fosse il creditore cessionario (società finanziaria, privato, Organizzazione Sindacale), spese che quantificava – con sintetica illustrazione dei costi diretti ed indiretti di gestione dell’accredito per singolo lavoratore - in euro 5,00 a transazione.
Rilevava infine, quanto al necessario requisito della “eccessiva onerosità” di cui alla nota sentenza n. 28269/2005 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che nel caso di specie l’azienda, in qualità di debitore ceduto, nel caso di mancato accollo di tale costo da parte del creditore cedente, e quindi di costo tutto a carico del debitore ceduto, avrebbe sostenuto un costo gestionale quasi doppio rispetto al credito ceduto, ciò per le operazioni dettagliatamente descritte nella propria memoria di costituzione: chiedeva quindi la nomina di CTU contabile al fine di operare una corretta quantificazione dei costi diretti ed indiretti da sostenersi per effettuare le richieste operazioni.
Espletata CTU contabile al fine di operare una corretta quantificazione dei costi gestionali, la causa veniva trattenuta in riserva all’udienza del 5.05.2022.
Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
Occorre premettere che l’interesse ad agire del sindacato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 28 Stat. Lav. è correlato all’individuazione dell’attualità della condotta antisindacale; si ritiene generalmente che la lesione procurata dal comportamento datoriale debba, per poter ricevere la tutela prevista dalla citata norma, rivestire il carattere dell’attualità, e ciò in quanto l’azione esperita dal sindacato è diretta ad una pronunzia costitutiva e non di mero accertamento.
Pertanto, se l’attualità della condotta, posta a fondamento dell’interesse ad agire, deve sussistere – anche se unicamente nell’ottica prospettica del Sindacato procedente – al momento della proposizione del ricorso, il requisito essenziale della richiesta tutela e nell’azione di repressione della lamentata condotta deve essere rinvenuto nel perdurare dei suoi effetti.
Quest’ultimo requisito è ravvisabile laddove, anche l’esaurirsi della singola azione lesiva del datore di lavoro, induca a ritenere persistente l’illegittimità del comportamento datoriale, ove questo, alla stregua di una valutazione globale, risulti tutt’ora persistente ed idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione d’incertezza che ne consegue.
Alla luce del principio appena esposto è anche possibile un’azione giudiziaria avverso una condotta già conclusa, qualora le circostanze inducano a ritenere che la medesima condotta verrà probabilmente reiterata.
È senza dubbio ravvisabile l’antisindacalità della condotta societaria laddove la stessa decida di non adempiere alle cessioni di credito come comunicate dal Sindacato richiedente, senza quindi provvedere al versamento mensile degli importi oggetto delle cessioni di credito in favore dello stesso (cfr., tra i primi arresti sul punto, Cass. n. 3917 e 14032/2004); altresì deve ritenersi potenzialmente lesiva del diritto a svolgere pienamente l’attività sindacale quella condotta societaria che, addebitando al singolo lavoratore un costo per le operazioni amministrativo-contabili connesse alla richiesta cessione, possa concretamente costituire una remora all’adesione dei singoli lavoratore a quello specifico Sindacato o dissuadere il lavoratore iscritto a mantenere nel tempo la propria affiliazione, portandolo a disdire l’adesione precedentemente formulata, così operando una indiretta
compressione dei diritti individuali e di quelli del sindacato che può concretamente trovarsi limitato nell'esercizio dell'attività e dell'iniziativa sindacale ed in una situazione di debolezza, non solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche delle altre organizzazione sindacali con cui è in concorrenza, ben potendo una condotta antisindacale essere integrata da asserite violazioni di obblighi di natura contrattuale sorti mediante l’utilizzo di istituti di diritto comune, come nel caso che ci occupa (Trib. Larino 27/12/00, pres. e est. D’Arcangelo, in Dir. lav. 2001, pag. 205, con nota di De Capoa, “La disciplina dei contributi sindacali”); in tali casi, invero, il lavoratore viene limitato proprio nell'esercizio del suo diritto di sostenere nel modo ritenuto più opportuno il sindacato di sua fiducia soltanto perché lo stesso non ha stipulato contratti collettivi. Quest'ultima condizione discriminante, se può giustificare un trattamento preferenziale dei sindacati stipulanti sul piano dei diritti strettamente sindacali, in nessun modo può rilevare nel rapporto lavoratore- sindacato da un lato e nello status del cittadino lavoratore dall'altro, entrambi regolati dalle norme del diritto civile.
L’assetto normativo vigente, quale scaturito a seguito dell’esito referendario del 1995, sulla materia dei contributi sindacali, dispone: che: “I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale” (art. 26 Stat. Lav.): trattasi di norma che istituisce un interesse legislativamente protetto del sindacato a ricevere le quote sindacali dal momento che l’articolo in esame contempla il diritto dei lavoratori di raccogliere i contributi sul luogo di lavoro, con conseguente compressione del potere di organizzazione imprenditoriale.
La querelle sulla riscossione delle quote associative sindacali, sorta all’indomani del citato referendum è stata affrontata e risolta dalla giurisprudenza di legittimità, la quale, con orientamento ormai costante la ha affermato, da ultimo con Cass. 18548/2015, che: “Con sentenza di questa Corte n. 21368 del 2008 si è affermato che: il referendum del 1995, abrogativo del comma 2 dell'art. 26 dello statuto dei lavoratori, e il susseguente D.P.R. n. 313 del 1995 non hanno determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, essendo soltanto venuto meno il relativo obbligo, sicché i lavoratori, nell'esercizio dell'autonomia privata e mediante la cessione del credito in favore del sindacato, possono chiedere al datore di lavoro di
trattenere sulla retribuzione i contributi sindacali da accreditare al sindacato. Qualora il datore di lavoro affermi che la cessione comporta in concreto, a suo carico, un onere aggiuntivo insostenibile in rapporto all'organizzazione aziendale e perciò inammissibile ex artt. 1374 e 1375 cod. civ., deve provarne l'esistenza. L'eccessiva gravosità della prestazione, in ogni caso, non incide sulla validità e l'efficacia della cessione del credito, ma può giustificare l'inadempimento del debitore ceduto, mentre il rifiuto del datore di lavoro di effettuare tali versamenti, qualora sia ingiustificato, configura un inadempimento che, oltre a rilevare sul piano civilistico, costituisce anche condotta antisindacale.
Detti principi sono stati riconfermati dalle sentenze di questa Corte n. 9049 del 2011 e n. 2314 del 2012 e, in quest'ultima pronunzia, si è elaborata la seguente sintesi sulla posizione della giurisprudenza di legittimità (cfr., in particolare, Cass., S.U., 28269/2005; Cass., 21368/2008; Cass., 9049/2011 cit.) e sui principi di diritto affermati: "a) Il referendum del 1995, abrogativo dell'art. 26 st. lav., comma 2, e il susseguente D.P.R. n. 313 del 1995, non hanno determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, ma è soltanto venuto meno il relativo obbligo. I lavoratori, pertanto, possono richiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi da accreditare al sindacato cui aderiscono (S.U. 28269/2005).
b) Tale atto deve essere qualificato cessione del credito (art. 1260 c.c. e segg.) (S.U. 28269/2005).
c) In conseguenza di detta qualificazione, non necessita, in via generale, del consenso del debitore (cfr. art. 1260 c.c.) (S.U. 28269/2005).
d) Non osta il carattere parziale e futuro del credito ceduto: la cessione può riguardare solo una parte del credito ed avere ad oggetto crediti futuri (S.U. 28269/2005, nonché Cass. 10 settembre 2009, n. 19501)".
La PAM Panorama sostiene sia dovuto dai lavoratori, a seguito delle richieste cessioni parziali del credito retributivo come strumento al fine del versamento dei contributi sindacali, il rimborso delle spese necessarie per dar corso, in modo reiterato (con cadenza mensile), alla contabilizzazione e al versamento della quota di credito ceduta, spese quantificate in un importo non inferiore a euro 5,00 per ogni cessione in ragione di ciascun mese: non vi è dubbio che a causa della pretesa cessione sorgano a carico del debitore
dell'obbligazione retributiva obblighi e responsabilità ulteriori rispetto a quelli che avrebbe comportato l'adempimento a favore del creditore originario (si pensi a quella, non certo marginale, del luogo dell’adempimento), dovendo operare tramite "cessioni individuali" - a favore del un sindacato non firmatario - del credito retributivo da parte dei singoli lavoratori iscritti che ne fanno parte e dovendo tener conto, come analogamente avviene nel casi di delegazione di pagamento, dei limiti di pignorabilità ex art. 545 c.p.c. in considerazione, appunto, della natura particolare-personale delle "somme dovute da privati a titolo di stipendio, salario e altre indennità relative a rapporti di lavoro o di impiego" e della necessità di garantire l'osservanza dei cennati limiti in presenza di procedure espropriative.
La società lamenta che trattasi di oneri gravosi ed insostenibili con particolare riferimento al costo stimato di contabilizzazione e versamento delle quote che sarebbe di entità doppia rispetto alla quota parte di credito ceduto: la prova dell’eccessiva gravosa, da identificare in concreto con l'applicazione del precetto di buona fede e correttezza (art. 1175 c.c.), e riguardante il piano dell'adempimento della disposta cessione del credito, è a carico del debitore ceduto (art. 1218 c.c.), potendo essere modificata la modalità di adempimento anche con la collaborazione del creditore, al fine di realizzare un giusto contemperamento degli interessi.
La eccessiva gravosità non potrà certo desumersi dal numero elevato delle cessioni (nel caso di specie 24) che è proporzionale alle dimensioni dell’organizzazione sindacale – questa sì rilevante per stabilire l’entità della relativa organizzazione e struttura amministrativa che può avvalersi di procedure informatizzate, tali da poter considerare minima l'incidenza data dagli adempimenti in oggetto - né dalla circostanza che gli oneri di pagamento, una volta stimati, siano uguali o inferiori a quelli previsti per l'accredito delle quote associative ai sindacati firmatari del contratto collettivo nazionale di lavoro, rispetto ai quali la società ha già contrattualmente assunto il relativo compito organizzativo (come condivisibilmente affermato da Cass. n. 3197 e n. 14032 del 2004), seppur procedendo per il tramite di diversi istituti giuridici, tenendo presente il rispetto del normale obbligo di collaborazione e salvaguardia nella esecuzione del contratto fissato dalla legge.
Per tale motivo, nel contrasto di posizioni tra le parti, si è proceduto ad una consulenza tecnica d'ufficio volta a verificare la natura e la consistenza degli adempimenti necessari per la gestione del contratto di cessione di parte del credito retributivo nonché i tempi di lavoro
ed i costi da sostenere per l'esecuzione delle dette operazioni, avuto riguardo alla specifiche condizioni della datrice di lavoro in ordine a complessità di struttura, numero di dipendenti e numero di cessioni attive alla data di deposito del ricorso (n. 24).
Ebbene, il CTU nominato, dopo un'attenta ed analitica disamina della questione, assunte anche informazioni dalla convenuta in ordine ai profili organizzativi, ha concluso che i costi connessi alla gestione mensile della cessione parziale del credito ammontano a €0,81 mensili in caso di capienza, calcolati considerando un costo lordo/anno 2020 per dipendente normalmente addetto alle pratiche di € 19,98 – individuato sulla base delle retribuzioni medie dei 15 dipendenti addetti alla specifica attività, i cui dati retributivi sono stati comunicati dall’azienda - ed il tempo medio necessario per l'espletamento delle attività di gestione mensile, aggiungendovi i costi vivi per l'effettuazione del bonifico, ragionevolmente indicati in € 3,50 mensili; tali costi arrivano ad euro 4,00 in ipotesi di incapienza, senza alcuna incidenza del costo vivo per l’effettuazione del bonifico.
Ha poi stimato – per entrambe le ipotesi - in euro 9,73 i costi vivi “una tantum”, sostenuti dall’azienda, una sola volta nel corso dell’intero rapporto lavorativo, costi che, spalmati sull’intero arco lavorativo dei dipendenti, non assumono alcuna rilevante incidenza.
In particolare, il CTU ha quantificato un tempo medio mensile pari a 2 minuti per le attività da compiersi sulla posizione di ciascun iscritto al sindacato e pari a 10 minuti/mese per le attività da compiersi cumulativamente per tutti gli iscritti al sindacato, in caso di gestione individuale e cumulativa ordinaria; mentre, nell’ipotesi di incapienza, il tempo medio mensile è pari a 12 minuti.
Invero, il CTU ha spiegato che di regola le operazioni necessarie ed indispensabili connesse alla gestione ordinaria mensile delle cessioni comprendono:
1) all’atto dell’elaborazione degli stipendi: verifica sul cedolino paga che sia stata operata la trattenuta e della capienza sulla retribuzione; verifica sull’estratto conto aziendale dell’addebito delle retribuzioni al netto della trattenuta sindacale e dell’addebito delle somme versate al Sindacato; (in caso di capienza) stesura ordinativo di bonifico della rata trattenuta per il versamento al Sindacato e consegna alla banca per l’esecuzione; registrazione in contabilità dell’operazione e del costo del bonifico che la banca addebita alla società; (in caso di incapienza) stesura della lettera di comunicazione ed invio al
sindacato e al dipendente per la mancata trattenuta (sospensione per quel mese); riavvio delle trattenute; rientro dell’incapienza;
2) al ricevimento dell’atto: aggiornamento fascicolo del dipendente; redazione ed invio lettera al dipendente e al Sindacato di inizio trattenuta; comunicazione al consulente o all’ufficio che gestisce le paghe di operare la trattenuta in busta paga; il consulente o l’ufficio personale inserisce nel programma paghe l’impostazione per la trattenuta mensile;
3) al momento della cessazione del rapporto di lavoro: comunicazione al sindacato della cessazione del rapporto di lavoro se è ancora in essere l’iscrizione del dipendente al sindacato
A tali costi si aggiungono poi quelli connessi all'apertura della pratica, pari, una tantum, a € 5,40, e quelli relativi alla chiusura della pratica, pari, una tantum, a €0,0 (nessun costo aggiuntivo).
E’ altresì corretta l’analisi dei tempi medi e delle attività che, diversamente da quanto sostenuto dal CTP dell’azienda, rimangono invariati in relazione all’ammontare oggetto del versamento (“Le cessioni del credito ….riguardano una percentuale fissa della retribuzione che determina, però, valori diversi in funzione del valore della retribuzione stessa, che senza dubbio assume rilevanza individuale”), ammontare che non condizione né la tipologia di attività amministrative necessaria, né la loro durata.
Le conclusioni cui è giunto il CTU sono pienamente condivisibili ed immuni dalle critiche sollevate dalle parti in causa, cui il CTU ha esaustivamente replicato.
In particolare preme evidenziare come il CTU abbia proceduto ad una ben approfondita e logica disamina della questione, condotta, siccome richiesto dall'Ufficio, con specifico riferimento alle condizioni organizzative tipiche di una struttura complessa ed articolata quale è, pacificamente, quella che fa capo alla resistente, non potendo rilevare in danno dei dipendenti eventuali disfunzioni organizzative che possano o abbiano sin qui potuto causare una illogica dilatazione dei tempi di lavorazione delle singole pratiche.
Orbene, così quantificato il costo unitario medio necessario per le operazioni di accredito della quota sindacale, stimando altresì l’incidenza dei costi iniziali dell’apertura della pratica (costi, come detto, da spalmarsi per l’intera vita media lavorativa del singolo
dipendente) come anche l’incidenza delle situazioni eccezionali legate all’incapienza della retribuzione del lavoratore, non può dirsi, come sembra affermare la società convenuta, che, in tal modo, siano posti a carico della società datrice di lavoro oneri non previsti e comunque insostenibili: al contrario, non essendovi neppure ineliminabili ostacoli di tipo organizzativo e gestionale, non specificatamente dedotti dalla società, che impediscano l’effettuazione di un bonifico “cumulativo” al Sindacato dell’importo delle quote degli iscritti, può concludersi nel senso di ritenere alquanto "modesto" l’aggravamento della posizione debitoria.
L’onerosità aggiuntiva dell’adempimento del debitore ceduto così indotta non appare eccessiva e debordante rispetto al normale obbligo di collaborazione e salvaguardia nell’esecuzione del contratto fissato dalla legge (per lo più nella permanenza di detto obbligo, di fonte contrattuale, nei confronti delle OO.SS. stipulanti il CCNL di settore), stante, inoltre, il disposto dell’art. 1196 c.c., secondo il quale le spese del pagamento sono a carico del debitore.
La norma risponde ad un principio fondamentale in materia di adempimento: il principio, cioè, che una volta determinata la prestazione, nella sua quantità e qualità, il creditore ha diritto a riceverla integralmente. È chiaro che se da questa dovessero dedursi le spese che la riguardano, il creditore ne avrebbe pregiudizio.
Una diversa conclusione può, al più, essere giustificata – con onere della prova a carico del datore di lavoro – nel caso in cui la cessione comporti, in concreto, un onere aggiuntivo insostenibile per l’azienda, nella specie non configurabile e in mancanza di prova del rifiuto del creditore lavoratore cedente a collaborare per un equo contemperamento di interessi (Cass. 7/3/2012 n. 3546, Pres. Napoletano Est. Curzio, in D&L 2012, 688), che, al contrario, ha sempre operato per cercare una soluzione condivisa (cfr. doc. in atti).
I altri temrini, un rifiuto da parte del datore di lavoro – al quale può equipararsi l’unilaterale decisione di addebito di costi pari al 50% della quota di iscrizione - potrebbe essere legittimamente opposto solo dimostrando che attraverso la cessione dei crediti è divenuto eccessivamente gravoso l’adempimento dell’obbligo di pagare le retribuzioni (Trib. Verona 2/4/01, est. Matano, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 24), onere che, anche alla luce della espletata CTU, è rimasto un assunto indimostrato.
In conclusione, quindi l’onerosità aggiuntiva dell’adempimento del debitore ceduto indotta dalle cessioni non appare eccessiva rispetto al normale obbligo di buona fede e correttezza,
stante il disposto dell’art. 1196 c.c., secondo il quale gli oneri del pagamento sono a carico del debitore: invero “nel bilanciamento dei diversi interessi non è affatto illogico che prevalga quello del sindacato alla raccolta dei contributi ed al versamento diretto degli stessi” (cfr. Cass. cit.).
In conclusione, deve rilevarsi l’antisindacalità delle condotte contestate dal Sindacato istante e pertanto, oltre alle specifiche prescrizioni indicate in dispositivo, appare poi idonea a rimuovere gli effetti della accertata condotta antisindacale, anche la pubblicazione del presente decreto sul sito internet della P.A.M. PANORAMA S.P.A. in forma leggibile e per la durata di almeno 30 giorni nonché l’affissione all’interno dei locali aziendali di Cassino, affinché sia leggibile da tutto il personale, per il medesimo periodo.
A tale proposito si osserva che trattasi di misura che appare nel caso di specie del tutto funzionale alla rimozione degli effetti della condotta illegittima.
Queste conseguenze della dichiarazione di antisindacalità si ricollegano solo ed esclusivamente alla lesione dell'interesse collettivo e sano ricomprese nell'ampia dizione "rimozione degli effetti", di cui all'art. 28 legge 300/70.
Le spese di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza, con distrazione a favore dei difensori.
P .Q.M .
visto l’art. 28 Stat. Lav.
ACCOGLIE la domanda presentata dalla CISAL FROSINONE – CONFEDERAZIONE ITALIANA SINDACATI AUTONOMI LAVORATORI e, per l’effetto:
- accerta e dichiara la natura antisindacale della condotta tenuta dalla convenuta PAM PANORAMA S.P.A., consistente nell’effettuare l’addebito di €5,00 per ciascuno degli iscritti CISAL relativo alla quota mensile ceduta in seguito al versamento al sindacato ricorrente, quale creditore cessionario, delle quote di retribuzione oggetto di cessione da parte dei lavoratori iscritti alla medesima associazione sindacale;
- ordina a PAM PANORAMA S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., di cessare immediatamente tale condotta antisindacale;
- condanna la società datrice di lavoro, in persona del legale appresentante p.t. ad effettuare il versamento al sindacato ricorrente, quale creditore cessionario, delle
quote di retribuzione oggetto di cessione da parte dei lavoratori iscritti alla medesima associazione sindacale, operando nelle buste paga dei lavoratori cedenti una trattenuta pari alla quota del credito ceduto senza addebitare la somma di €5,00 per ciascuno degli iscritti CISAL relativo alla quota mensile ceduta;
- ordina la pubblicazione del presente decreto sul sito internet della P.A.M. PANORAMA S.P.A. in forma leggibile e per la durata di almeno 30 giorni nonché l’affissione all’interno dei locali aziendali della sede di Cassino, affinché sia leggibile da tutto il personale, per il medesimo periodo;
- condanna la società datrice di lavoro alla rifusione delle spese di lite che liquida in euro 3.500,00 oltre spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge, da distrarsi ex art. 93 c.p.c.
Si comunichi. Cassino, 20.07.2022
Il Giudice Annalisa Gualtieri
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